Gli artisti
VALENTINO GIAMPAOLI nato a Loreto (AN) nel 1969. Vive e lavora a Isola del Gran Sasso (TE)
Porta (posizionato sull’imbocco della strada dopo il Ponte Avons)
BELEN ORTA NUNEZ nata a Cartagena (Spagna) il 24/04/1974. Vive e lavora a Cartagena
Culla
ARLINDO DUARTE DE AREZ nato a M.G. Portimao (Portogallo) il 15/11/1957. Vive e lavora a M.G. Portimao
Occhio sul mondo
GELAS KESSIDIS nato in Georgia il 29/05/1959. Vive e lavora a Thessaloniki in Grecia
Ninfa del bosco
Le opere
La scultura in rosso – edizione 2012 di Leopoldo Pitali
Nel suggestivo parco di Sella Chianzutan, nell’assolato tardo pomeriggio del 19 agosto 2012, si è tenuta la cerimonia di chiusura e la premiazione del settimo incontro internazionale di scultura su marmo rosso di Verzegnis. Come dicevo, il tempo era soleggiato. L’aria era sufficientemente carezzevole per farci ricordare che agosto stava lentamente declinando verso il venturo tepore settembrino. C’era un’atmosfera di festa, con tanta bella gente accorsa a celebrare quella forma d’arte così praticata eppure sempre nuova ch’è la scultura.
Ma qui a Verzegnis, come sanno gli appassionati frequentatori di queste montagne, l’arte dello scolpire si nutre di un’infinità di sfumature, di ataviche influenze e di eteree sollecitazioni.
Le ampie valli, i monti sovrastanti, senza contare i profumi che permeano l’aria e le leggende che qui si narrano da tempi immemorabili, arricchiscono di gustosi sapori ogni evento proposto dalla gente del luogo.
“La scultura in rosso” è soltanto una delle pregevoli iniziative culturali che Verzegnis propone periodicamente, non solo al turista che casualmente si trova qui di passaggio, ma anche a tutti coloro che amano queste zone.
Mi guardo attorno, tenendo in mano una delle mie inseparabili pipe e come spesso, anzi come “sempre” mi accade dinanzi ad un elaborato artistico, mi fermo incuriosito ed inizio a pensare e ad osservare. C’è un percorso da fare; com’è mia consuetudine, sento che per spiegare l’arte, prima a me stesso e poi a chi mi ascolta, devo aprire la mente, devo spalancare il cuore al messaggio che i miei sensi percepiscono. Eh si, perché davanti ad una determinata opera d’arte si attivano i nostri sensi, ora uno, ora l’altro e spesso tutti e due all’unisono; non ve n’è uno che rimanga passivo quando si deve “interpretare” il prodotto di un maestro. Un quadro, una sinfonia, un’essenza profumata, anche una pietanza, sono il risultato dell’ingegno di un uomo (o di una donna, ovviamente) che è dotato di una grazia particolare, quasi un carisma. Questo dono ricevuto è la “creatività” con cui l’artista diviene l’artefice di un bene particolare, nuovo e diverso da tutto ciò che è stato creato fino a quel momento. L’arte, in tutte le sue varianti, in fondo è semplicemente la nobile creazione intellettuale di sempre nuovi prodotti, mirabili e piacevoli, proprio come le sculture che abitavano gli spazi del Parco di Sella.
Ciò che balzava subito agli occhi, anche a quelli di un osservatore poco attento o comunque al profano d’arte, era la varietà di forme. Dalle linee diritte e tese di “Porta”, del lauretano Valentino Giampaoli, si andava alle volumetrie ovoidali dell’”Occhio sul mondo” del portoghese Arlindo Duarte De Arez, per saggiare quindi la procace carnalità della “Ninfa” ellenica di Gelas Kessidis, concludendo, o forse “iniziando” con gli inviluppi morbidi ma intricati della “Culla” della spagnola Belén Orta Nùnez.
Man mano che esaminavo quei manufatti, girandovi attorno, osservandoli da tutte le possibili angolazioni, sentivo che in quel luogo ed in quel momento si stava formulando spontaneamente una sorta di alchimia.
Come spiegarvi? Forse erano i variopinti colori di quel cielo vespertino, o magari si trattava dell’aroma resinoso degli abeti che si ergevano maestosi sui pendii di quelle antiche vette. Anche i calorosi sorrisi della gente ed i loro sguardi curiosi ed interessanti facevano la loro parte. Insomma, tutti questi elementi, si stavano dimostrando così benigni, da confluire in un amalgama ideale per il godimento di quel momento “magico”.
E allora, come spesso accade quando ci si rende umili di fronte all’arte, è l’arte stessa che ci indica la strada da seguire, l’itinerario da percorrere con la modestia che ognuno di noi deve mantenere nei confronti di un nuovo frutto dell’ingegno umano, anche se ad un approccio superficiale, quella creazione ci sembra eccentrica ed incomprensibile. Quelle sculture di marmo rosso-rosato, di quella sfumatura anticata e calda come se ne può godere solo se immersi nella luce degli ultimi raggi di sole di una sensuale sera d’agosto, è come se avessero preso vita, indicandomi finalmente il fil rouge, quell’ideale filo rosso che le annodava l’una all’altra.
Attraverso la monumentale “Porta” di Valentino Giampaoli si penetra in un mondo “altro”, spirituale e parallelo al nostro, che invece è così caduco e materiale. Grazie a quel pertugio che taglia nettamente lo spessore volumetrico dell’uscio marmoreo, ecco che siamo in grado di addentrarci in una realtà, immateriale e perciò invisibile all’occhio umano, sebbene egualmente percepibile attraverso una sensibilità nuova ed istintuale. E quel sesto senso così intuitivo, che a volte riusciamo ad attivare se veniamo sollecitati da uno stimolo particolare, prende fatalmente la forma dell’”Occhio sul Mondo” del lusitano Duarte De Arez.
L’occhio è l’organo che ci consente di percepire le mille sfumature cromatiche di un tramonto, le infinite tonalità del verde di una foresta e ad anche le variopinte gradazioni di un crepuscolo. È il prezioso strumento naturale che ci permette di apprezzare le cose per come ci appaiono otticamente, cioè secondo un aspetto fisico. Ma l’uomo è dotato anche di un occhio diverso da quello anatomico che gli consente di andare oltre la semplice visione oggettiva. Noi possediamo anche un occhio “interiore” col quale possiamo intendere altre sfere di conoscenza, altre realtà. È questo l’occhio che il maestro Duarte De Arez ha voluto scolpire; un occhio capace di farci riconoscere l’impalpabilità della bellezza ideale, come la concretezza delle reminescenze formose e provocanti della “Ninfa” peloponnesiaca di Gelas Kessidis. In quest’opera c’è in nuce tutta la tradizione scultorea dell’occidente, volta a proporre nel corso dei millenni, senza soluzione di continuità la bellezza dell’eterno femminino. È impossibile rimanere apatici davanti a questa naiade marmorea, nelle cui fattezze ritroviamo le forme ridondanti delle preistoriche Veneri callipige (letteralmente, dalle belle natiche) di Willendorf e di Lespugne. Il georgiano Kessidis con la sua divinità morbida e sinuosa non fa nient’altro che prospettarci un viaggio a ritroso nel tempo, fino alla sacra genesi dell’essere umano. E allora lasciamoci proiettare indietro, indietro nel passato dell’umanità, fino alla sua origine, sino al sacro momento della “nascita” dell’uomo, suggellata in questo percorso artistico dalla “Culla” di Belén Orta Nùnez. È questa la matrice da cui il percorso ha avuto inizio ed è pure il luogo finale, la meta ultima a cui approdiamo. È il primo passo, il primo alveo ospitale nella vita dell’uomo e per certi versi, ne è l’epilogo. Quella culla rappresenta sia il caldo ventre materno, sia il primo giaciglio della creatura venuta alla luce e pure il nido che accoglie una nidiata di aquilotti. Ma quella culla è anche il punto ultimo, la destinazione finale, cioè l’approdo a cui deve giungere secondo natura ogni essere vivente, al termine del suo terreno pellegrinaggio. La culla allora, col passare degli anni, cambia lentamente i connotati, muta le proprie dimensioni e funzioni, si trasforma per diventare il letto del grande sonno, del sereno riposo attraverso il quale l’uomo si diparte della vita terrena, per intraprendere il suo ultimo viaggio. Ed è nel momento esatto del suo trapasso che l’uomo varca di nuovo il portale che lo mette in comunicazione con quel mondo sconosciuto ma sperato a cui tutti noi aneliamo. La porta; in fondo è un luogo di passaggio, “da” e “per” uno spazio diverso da quello in cui adesso ci troviamo e non bisogna temere di varcare quella soglia, se oltre vi percepiamo la luce. E l’arte non fa altro che regalarci sempre nuovi stimoli, nuove proposte, per gustare le rappresentazioni di una realtà in continua evoluzione.
Anche i quattro artisti mediterranei che quest’anno hanno lavorato per alcuni giorni a Sella Chianzutan, come gli altri che li hanno preceduti nelle precedenti edizioni e come coloro che li succederanno in quelle future, con le loro opere, ci indicano sempre il cammino che ognuno di noi è tenuto a fare se vuole davvero amare e vivere l’arte. È un itinerario sperimentale che all’inizio può sembrare difficile da tradurre, irto di ostacoli interpretativi, ma alla fine, varrà la pena esser partiti per un viaggio che ci porterà a conoscere la beltà che prima si celava dietro alla caligine della nostra ignoranza. Le parole d’ordine per apprezzare l’arte, in tutte le sue manifestazioni, sono; umiltà, curiosità e pazienza. Applicando questi principi rudimentali ma preziosi alla nostra ricerca, vivremo l’arte in maniera piena ed appagante e ne verremo letteralmente illuminati. E dato che scopo della vita dell’uomo è la ricerca della felicità, l’obbiettivo dell’artista è proprio questo: regalarci un briciolo di felicità con il suo lavoro, insegnandoci a fuggire dal buio che spesso obnubila le nostre giornate. L’arte ci spinge ad osare e ci permette di sognare.
Siamo sinceri, cosa faremmo a volte per poter abbracciare un raggio di sole?
Pagina aggiornata il 10/05/2024